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Una terapia target contro il cancro della vescica

SI TRATTA della prima terapia target – mirata contro alcune mutazioni genetiche – disponibile per i pazienti oncologici colpiti dal cancro della vescica localmente avanzato o metastatico, per i quali a poco è servito l’utilizzo dei trattamenti antitumorali di prima linea, specialmente la chemioterapia. Erdafitinib, questo il nome della molecola, lo scorso aprile aveva ricevuto l’approvazione accelerata da parte dell’ente regolatorio americano, la Food and Drug Administration (Fda), in base alle prime osservazioni di uno studio di fase II. Che adesso tira le somme, mettendo nero su bianco i risultati sul New England Journal of Medicine. Lo studio I ricercatori hanno testato il farmaco su un campione di 99 pazienti, caratterizzati da mutazioni genetiche dell’FGFR3 (il recettore del fattore di crescita dei fibroblasti), o fusioni genetiche di quest’ultimo: alterazioni abbastanza comuni in questo tipo di tumore, sulle quali erdafitinib sembra funzionare bene. Cinque i cicli di trattamento con il farmaco preso in esame, somministrato per via orale. Quasi la metà del campione ha risposto al trattamento, ma in molti casi gli effetti collaterali sono stati così importanti da dover interrompere il trattamento. “I risultati ottenuti in questo studio rappresentano un notevole passo in avanti per il trattamento del tumore della vescica, la più comune neoplasia tra i tumori uroteliali, per la quale le strategie terapeutiche sono ancora limitate quando la malattia si presenta in uno stadio avanzato”, spiega Filippo de Braud, Professore Ordinario di Oncologia dell’Università di Milano e Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Va ben chiarito – chiarisce l'oncologo – che questo è un trattamento di ‘target therapy’, mirato dunque alla presenza di un ‘bersaglio molecolare’ e cioè un gene con attività alterata che è presente solo in una percentuale di pazienti, non in tutti. In ogni caso possiamo certamente dire che i risultati sono promettenti: il trattamento con erdafitinib ha funzionato sul 40% del campione, nel quale si è osservata una regressione o scomparsa della malattia oncologica. Dei pazienti che hanno risposto bene al farmaco, infatti, il 3% ha mostrato una risposta completa – cioè la scomparsa della malattia – mentre per il restante 37% la risposta è stata parziale, ovvero il trattamento ha consentito di ridurre significativamente le dimensioni del tumore. In generale la somministrazione di erdafitinib ha dato buoni risultati anche sulla sopravvivenza libera da progressione, mediamente di quasi 6 mesi nei pazienti trattati, sebbene vadano considerati alcuni effetti collaterali importanti, che hanno riguardato una buona fetta del campione”. L’approvazione del farmaco Proprio per l’importanza del risultato ottenuto dallo studio, l’agenzia del farmaco statunitense FDA in aprile ha approvato l’utilizzo di questo trattamento negli Stati Uniti nonostante si tratti di una sperimentazione su un piccolo campione di pazienti e senza braccio di controllo. “Probabilmente in Europa prima che la terapia venga approvata per il tumore della vescica, serviranno altri studi di conferma – spiega de Braud - è possibile infatti che l’Ema chieda prima la messa a punto di studi su un campione di pazienti più vasto, ma soprattutto uno studio che stabilisca concretamente la reale efficacia del farmaco in questione, ad esempio mettendo a confronto un gruppo di pazienti trattati con questa terapia rispetto a un gruppo trattato con chemioterapia di seconda linea o con placebo, un parametro importante assente in questa ricerca”. Questa non è la prima ricerca che ha focalizzato l’attenzione sui recettori oggetto dello studio. Perché si tratta di molecole interessanti al livello diagnostico e terapeutico anche per altri tipi di tumore: “Numerose ricerche si sono concentrate nel passato sullo studio dell’espressione dei 4 recettori per il “Fibroblast Growth Factor” (FGFR 1, 2,3 e 4) che sono espressi in molte altre neoplasie come i tumori della mammella, del polmone, del fegato”, continua l’esperto. Ma se prima gli studi erano per lo più incentrati sull’analisi dell’espressione di queste molecole, e dunque sulla loro quantità nelle cellule malate, “oggi – fa notare de Braud – l’attenzione è sempre più rivolta alle alterazioni genetiche che caratterizzano queste molecole, ad esempio le fusioni e le mutazioni che condizionano la crescita tumorale e su cui è possibile intervenire in maniera più precisa con le terapie a bersaglio molecolare, come dimostra questo studio. Al momento anche nei tumori delle vie biliari con fusione di FGFR2 ci sono dati promettenti: questo bersaglio molecolare è stato di fatto ‘riscoperto’ ed è oggetto di numerosi studi”. L’immunoterapia Un altro aspetto che andrà approfondito in futuro riguarda la possibilità di trattare i pazienti oncologici caratterizzati da queste alterazioni genetiche, oltre che con la target therapy, anche con l’immunoterapia. Infatti, ci sono dati contrastanti in proposito, come fa notare de Braud: “Mentre nel caso del tumore del polmone l’immunoterapia funziona meno bene nei pazienti con alcune mutazioni genetiche, come quelle a carico di EGFR, ALK o ROS1, nel melanoma i pazienti con mutazioni di BRAF rispondono anche all’immunoterapia. Nel caso del tumore della vescica sembra che la presenza di alterazioni geniche di FGFR non condizioni l’eventuale attività dei nuovi farmaci immunoterapici che sono una ulteriore promettente opzione per questa patologia”. Il trattamento dei tumori genito-urinari sta dando sempre di più risultati positivi, complici da un lato l’avanzamento delle conoscenze, dall’altro l’approccio sempre più integrato degli esperti. E molto spesso la differenza nell’esito della terapia si fa nelle prime fasi della malattia: “è specialmente in quel momento che il team multidisciplinare, costituito dall’oncologo medico, il chirurgo urologo ed il radioterapista, dovrebbe discutere e valutare collettivamente la migliore strategia da mettere in campo per seguire al meglio il malato, ad esempio valutando se somministrare o meno la terapia medica prima della chirurgia per massimizzare la cura, o quali trattamenti antitumorali possono funzionare meglio in base alla fase di malattia localmente avanzata o metastatica o in base al rischio di aggressività biologica, o ancora quando il tumore è oligometastatico, con metastasi limitate per numero e sede”, spiega Giuseppe Procopio, responsabile dell’Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Si tratta di considerazioni importanti, fa notare Procopio, “che vanno affrontate in maniera trasversale e in base al singolo paziente: non va dimenticato che ogni caso è a sé. Da anni le società scientifiche, quali AIOM, CIPOMO, SIURO, AIRO, AURO e SIU, dedicate a questo genere di neoplasie stanno lavorando a un documento condiviso, basato sui Team MultiDisciplinari, per definire le strategie migliori e arrivare alla stesura di raccomandazioni più accurate per la corretta gestione della malattia. Mentre per il tumore della prostata questo lavoro è ormai completo ed esaustivo, per il tumore delle vie urinarie e del rene, siamo ancora indietro”. La malattia Il tumore della vescica si attesta tra le malattie oncologiche più diffuse nel nostro Paese: “Basti pensare che rappresenta il 7% di tutti i tumori in Italia e soltanto nello scorso anno contava oltre 27mila casi. Fortunatamente nella maggior parte dei casi (70%) si tratta di forme superficiali – spiega de Braud – cioè che non infiltrano la mucosa vescicale e che hanno buona prognosi con trattamenti locali e senza chirurgia demolitiva. Tuttavia quando la malattia è invasiva, nonostante trattamenti molto aggressivi come chirurgia demolitiva, chemioterapia, radioterapia, la prognosi non è buona. Per questo motivo si è sviluppata una intensa ricerca per nuovi approcci terapeutici”. Il ruolo primario del fumo Si tratta di una malattia fortemente correlata al fumo di sigaretta, che rappresenta uno dei principali fattori di rischio, come spiega l’esperto: “I prodotti di degradazione del fumo si accumulano in questo organo, al livello della mucosa vescicale, prima di essere escreti con l’urina e possono facilitare l’insorgenza del tumore, specialmente nelle persone caratterizzate da uno stato infiammatorio frequente, come nel caso della cistite, affette da malattie trasmissibili sessualmente o che sono soggette ad attività lavorative sedentarie o ancora che hanno l’abitudine di bere poca acqua”. Tutti fattori che influenzano negativamente la salute della mucosa vescicale, nella quale spesso ha origine questa neoplasia e per la quale in parte si può fare molto, partendo proprio dalla prevenzione e dai corretti stili di vita: “è molto importante – conclude de Braud – la campagna contro il fumo che può ridurre l’incidenza di questo tumore ed altrettanto importante che anche nel caso venga diagnosticata una forma superficiale si smetta subito di fumare”.
 
 

fonte:

la Repubblica

 
 

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