Ogni mese ci sono almeno trenta nuovi malati che si recano al Policlinico Umberto I di Roma per sapere cosa fare e come curarsi. Uno studio australiano stima che nel mondo rappresentino il 4% della popolazione. Ma in Italia sono malati fantasma, esattamente come la malattia che dicono di avere, la MCS (Multiple Chemical Sensitivity o anche Sensibilità chimica multipla). È già un enigma trovare una definizione di cosa sia perché a livello nazionale e internazionale non c'è condivisione.
Il ministero della Salute la definisce come «intolleranza idiopatica» (ossia senza una causa ben definita) che nascerebbe «dall'esposizione a sostanze chimiche generalmente tollerate da altri individui». Chi ne è affetto prova nausea, tachicardia, disfunzioni sensoriali, dolori muscoloscheletrici o gastrointestinali… ogniqualvolta entra in contatto con particolari agenti chimici.
Ma lo stesso ministero, appena qualche capoverso più in basso, avverte che«… la sindrome potrebbe essere legata a una condizione di suscettibilità individuale piuttosto che alla tossicità delle sostanze», vale a dire che si tratterebbe solo di soggetti con «una complessa sindrome psicosomatica». Motivo per il quale la Sensibilità chimica multipla non è riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale e non ci sono cure ufficiali.
si rivolge a una struttura pubblica per ottenere una diagnosi, quasi sempre gli viene suggerita una visita psichiatrica. Ed è quello che è successo a Mariagiovanna Liguori, musicista, in provincia di Caserta. «Avevo allergie di tutti i tipi, asma, dolori diffusi. Appena sposata ebbi anche un aborto ma i dottori non capivano di cosa si trattasse. Al tempo stesso era impossibile che io avessi così tante allergie». Mariagiovanna parla alla telecamera con una mascherina che le copre il naso e la bocca. Ha una bombola d'ossigeno a pochi passi. Sempre. La porta in macchina quando si deve spostare e ne ha una su ogni piano della casa. Deve stare lontana da detersivi, saponi, deodoranti, profumi che non siano totalmente naturali. Mangia solo cose biologiche. In cucina ha una lunga lista di cibi proibiti e la dispensa si divide tra intingoli vegetariani e preparati galenici privi di eccipienti. Quando ha crisi respiratorie molto forti deve andare al Pronto soccorso. Mai come Antonella D'Autilio, di Chieti, medico internista che è dovuta ricorrere all'emergenza ben sessanta volte prima di capire cosa avesse. «In ospedale ci lavoravo (ha dovuto lasciare il lavoro a causa dei sintomi sempre più frequenti, ndr). Iniziai a stare molto male dopo che imbiancarono le pareti del mio reparto. Mi diagnosticarono una trombosi, un edema polmonare e della glottide. Feci analizzare le sostanze chimiche che mi avevano intossicato da un esperto forense. Erano circa cento tossiche, di cui alcune illegali».
Nonostante tutto le chiedono di compilare l'MMPI (Minnesota Multiphasic Personalità Inventory), un test psicologico per valutare i tratti della personalità. «Non capivano che quando scrivevo "Non esco volentieri" non era perché ero depressa ma perché venivo a contatto con agenti chimici che mi facevano star male». La stessa cosa è capitata a Federica Robe, una ragazza di 34 anni di Milano da qualche anno trasferitasi in Trentino. «Era l'unico modo per detossificare il mio corpo», racconta. I suoi malori iniziano dopo un intervento odontoiatrico per rimuovere un'otturazione. Durante l'intervento subisce una forte esposizione al mercurio. Le riscontrano alterazioni enzimatiche, alla tiroide, ai tessuti. Ma più di un dottore le ripete di fare visite psichiatriche.
Le esperienze riportate sono una costante nei casi di MCS. Ne sa qualcosa Giuseppe Genovesi, Endocrinologo, Psichiatra e Immunologo del Policlinico Umberto I di Roma, dove c'è l'unico centro di riferimento per la cura della malattia. L'altro è a Bologna ma è un ambulatorio per l'intolleranza agli agenti chimici. «La malattia è neurotossica - chiarisce Genovesi-. Coinvoge molto il sistema nervoso centrale fino al punto da produrre anche sintomi psichici ma è senz'altro una malattia metabolica». L'obiezione psicosomatica se l'è sentita rivolgere tante volte e la contesta fermamente: «Come mai questa epidemia psichiatrica si concentra proprio nei posti più inquinati? Vuol dire allora che nella provincia di Caserta o di Taranto sono tutti matti?». I dati in suo possesso parlano di un incremento dei casi pediatrici. «Sono pazzi anche i bambini?» domanda provocatoriamente.
Spesso si lamenta l'assenza di studi approfonditi sull'argomento, anche se alcune associazioni, come il Coordinamento della campagna nazionale per il riconoscimento della Sensibilità chimica multipla, affermano che nel mondo ne siano stati fatti addirittura 845. «Oggi alcuni studi genetici sono riusciti a individuare uno dei principali enzimi coinvolti, ossia il glutatione trasferasi» - precisa Genovesi -. Mi rendo conto che è una malattia difficile da ammettere perché vorrebbe dire confermare che abbiamo inquinato l'ambiente, con tutto quello che comporta. La verità è che non hanno mai fatto studi statistici approfonditi e la maggioranza dei pazienti italiani ancora non sa di avere questa patologia».
Ci sono poi tutta una serie di teorie complottistiche che imputano a una non meglio precisata Big Pharma, ossia la grande industria farmaceutica, il mancato riconoscimento della malattia. Il paradosso italiano è che se da un lato il Sistema Sanitario Nazionale non la considera una malattia dall'altra la Direzione generale della Prevenzione dello stesso ministero della Salute l'ha inserita nel programma di «Prevenzione primaria e secondaria in materia di inquinamento degli ambienti confinati». Un controsenso sottolineato anche da Paolo Pigatto, docente di Allergologia all'Università di Milano: «È un'incongruenza legislativa che serve solo a prevenire cause legali visto che il protocollo che lei cita si applica negli ambienti di lavoro. Ma come si fa a parlare di prevenzione quando la malattia ufficialmente non esiste?». Tra l'altro, mentre si parla di prevenzione della Mcs negli ambienti di lavoro, ad oggi la maggior parte dei Pronto Soccorso non è attrezzata per accogliere in sicurezza questi pazienti.
Periodicamente approdano in Parlamento proposteo disegni di legge con l'obiettivo di ottenere un riconoscimento uniforme della patologia su tutto il territorio. Portano la firma dei più diversi schieramenti, dal M5S al Pd. Si tratta quasi sempre di testi fotocopia che restano lettera morta.
All'estero la situazione è eterogenea. Uno studio firmato da un team dell'Università di Perugia (Sensibilità Chimica Multipla: aspetti medico- legali in merito ad un caso di richiesta di risarcimento delle spese mediche) ricorda che le malattie ambientali negli Stati Uniti sono studiate dagli anni '50 ma che la Mcs «è divenuta una vera e propria emergenza sanitaria durante la prima guerra del Golfo dal momento che oltre il 30% dei soldati della Desert Storm sviluppò tale patologia». Negli Stati Uniti stimano che ben il 15% della popolazione ne sia affetto ed è anche considerata malattia invalidante dall'American whith disability Act. L'Organizzazione Mondiale della Sanità l'ha inserita nell'International Classification of Discases ma come «allergia non specificata».
Un diverso riconoscimento lo ha ottenuto anche in altri paesi come Canada, Giappone, Svizzera, Spagna e Germania. Paesi, quest'ultimi, verso i quali si rivolgono i malati italiani. Infatti, non essendo possibile ricevere una diagnosi in un ospedale italiano né tantomeno prognosi di alcun tipo, si organizzano veri e propri viaggi della speranza. Ce lo spiega Ottaviano Tapparo, odontoiatra e tossicologo italiano trasferitosi in Germania. «In Italia sono stato uno dei primi a parlare di questa malattia, ho creato gruppi di studio, ho fatto ricerche, ho persino operato pazienti a casa loro perché impossibilitati a muoversi. Mi assegnarono un reparto per poi togliermelo dopo poco perché, mi dissero, erano cambiate le politiche sanitarie. In Germania, invece, esistendo la malattia si può fare la diagnosi e se lei parla di malattie ambientali troverà dei medici con questa precisa specializzazione».
Ogni settimana dal dottor Tapparo arrivano mediamente due o tre pazienti dall'Italia che chiedono quali cure intraprendere. Spesso anche analisi e test sono effettuati all'estero. I pazienti inviano le provette tramite corriere in laboratori specializzati, come il centro Acumen a Devon, in Inghilterra (trasmettono proprio una scheda con le istruzioni da seguire sia per le modalità di prelievo che per la spedizione). Il costo varia a seconda delle analisi da fare ma si può arrivare fino ai duemila euro. Attorno a questa sindrome si è sviluppata tutta un'economia. «Ogni anno spendiamo circa 20mila euro per curare nostra figlia - dice il papà di Federica -. L'anno in cui vagavamo nel buio perché non sapevamo di cosa si trattasse abbiamo speso anche di più. Non so quanti medici abbiamo consultato, quante provette abbiamo inviato, quante analisi fatto. Ora le spese ci sono, soprattutto legate al fatto che nostra figlia deve vivere in un ambiente decontaminato, ma almeno sappiamo cosa fare».
Ovviamente trattandosi di una malattia fantasma niente di tutto questo può essere rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale. Ciò che preoccupa è il mercato clandestino fatto di preparati, diete, farmaci, integratori enzimatici, composti chimici che nella migliore delle ipotesi non servono a niente. C'è chi ci parla di miscele a base di veltistina, mix di antibiotici o cortisonici passando per integratori alimentari e medicine omeopatiche. Tutte senza una validazione scientifica e molto spesso fai-da-te, confezionati da chimici e biologici di "fiducia" o combinati tra loro in modo autodidatta. «Si diffondono attraverso il passaparola, soprattutto in rete. Diciamo che in Italia ci conosciamo un po' tutti e se qualcuno è in contatto con un chimico o un farmacista sensibile a questo problema lo consiglia anche agli altri. Del resto l'alternativa è stare male e chiudersi in casa continuando a essere fantasmi».
fonte:
Corriere della Sera
